Scrivo questo post dopo aver passato un po’ di tempo in Duomo.
Il Duomo di Milano – un pezzo specifico del Duomo di Milano – è il mio porto sicuro quando devo riflettere accuratamente su qualcosa, prendere una decisione oppure semplicemente leccarmi le ferite. Prima dunque ero in Duomo e ho sentito emergere un grumo di dolore che è diventato una cosa enorme e che probabilmente mi portavo dentro dal 1999, l’anno della morte di mio padre.
Il dolore non ha nulla di produttivo, non me lo posso permettere, soprattutto in questo periodo, eppure è arrivato come un’onda – anzi uno tsunami – e non lo posso fermare. Quando è morto mio padre l’azienda mi ha “concesso” 15 giorni di ferie (“ma solo perché è molto giovane quindi capiamo la situazione se no sarebbero 4 giorni di congedo da contratto”); in quei giorni ho aiutato mia madre con le cose pratiche, tentando di starle vicino anche se non ne ero assolutamente in grado: ero troppo troppo arrabbiata, lui non c’era più ed era semplicemente, totalmente inaccettabile. Tornata a Milano mi sono buttata sul lavoro come e più di prima. Ne ho fatte di ogni: lavori – viaggi – concerti – uscite – cultura. Tutto il fattibile.
Poi a 31 anni sono andata in Burnout, ho conosciuto il Coaching, ho iniziato una psicoterapia che mi ha connesso ad emozioni che nemmeno conoscevo e soprattutto mi ha finalmente fatto piangere la mancanza di mio padre. Ma solo in seduta una volta alla settimana e tutte le mattine sotto la doccia, circa un quarto d’ora.
Poi si tornava alla furente produttività quotidiana.
Ho perso mia madre in terapia intensiva. Non so se sapete cosa significa. Essenzialmente una sera la saluti, normalmente, di notte ti chiamano dalla terapia intensiva, il mattino dopo hai un workshop e lo fai e fai anche finta di niente; in pausa vai in terapia intensiva e per la prima volta senti quello che sentirai per i futuri 13 giorni, fino a che lei non morirà, in terapia intensiva, sola perché l’ospedale è lontano da casa tua e tu esattamente in quel momento non riesci a raggiungerla.
Ecco, nei giorni della terapia intensiva tu hai una cosa rotta dentro che ancora oggi non si è ricomposta e non si comporrà mai più, ma sei una professionista per cui ti spari almeno due workshop, vari Coaching, anche un week end di Master. Ci sono clienti che sapranno solo qualche anno dopo che in quei giorni stava morendo tua madre.
Visto che il dolore non è produttivo ti rimetti subito all’opera per sistemare tutto quello che è rimasto indietro nelle ultime settimane, e lo fai con una tale violenza e senza renderti conto di quanto sei sfinita che ti ammali ancora e poi ancora e poi ancora.
Alla fine guarisci.
Guarisci anche un po’ dentro.
Capisci delle cose, ragioni su altre, altre ancora le accetti e basta.
Passano gli anni, ti senti cresciuta, senti che va tutto bene, che c’è Accademia, ci sono le tue attività, ci sono le persone che ti circondano al lavoro e per lavoro. Certo, fuori dal lavoro ti senti un po’ sola ma ci sei abituata fin da piccola. Nei giorni liberi vai al cinema, guardi una mostra, provi un nuovo ristorante… Ah, i tuoi giorni liberi non coincidono quasi mai con quelli del tuo compagno perché tu di solito il weekend lavori, ma fa niente: dobbiamo accettare anche questo il lavoro è fatto così.
Insomma il 2019 inizia e va tutto bene.
Poi.
Poi truffano te e la tua società per una cifra importante alla quale sopperisci tu con i tuoi soldi personali ed il tuo lavoro gratuito.
Poi i tuoi soci se ne vanno lasciandoti vari buchi operativi ed economici e tu sempre sorridendo copri tutto: economico, operativo, esecutivo.
Lavori ininterrottamente tutta l’estate per far stare in piedi tutto quello che hai costruito fino adesso.
A fine agosto, anche se non vorresti, parti per Miami. Un disastro totale e soprattutto un paio di litigate con il tuo compagno di cui si sente ancora l’eco; una delle quali sta per terminare con te che prendi un volo per tornare a casa in anticipo se lui non ti fermasse in corner.
L’autunno inizia pieno di buone volontà e di novità.
Andiamo avanti, ti dici.
E invece no. Altre assenze, altre delusioni (non entro in dettaglio, non è corretto).
Poi arriva novembre e tu sei il solito siluro impazzito fra ADF, altre sedi dove fai Coaching, i viaggi per i Retreat, le trasferte, il commercialista, la banca, ma un pomeriggio decidi così, forse più per caso che per altro (qualcuno direbbe sincronismo), di fermarti e succede una cosa bella, bellissima e tu quasi non ci credi perché non è possibile che alla fine davvero può capitare qualcosa di così bello.
Ed infatti.
Non capita. Naturalmente incassi il colpo.
Quindi vai in Duomo. Ti chiedi come stai e all’improvviso te ne fotti di tutto, della facciata, della produttività, dei soldi, del giudizio degli altri e decidi che questa volta, almeno questa volta, ti concederai di provare tutto lo tsunami di dolore che ti travolge e non smette mai.
Morale della Favoletta dark: la mia parola dell’anno era Semplificare (per il 2020 niente, grazie, abbiamo dato) e l’ho capita solo oggi.
Possiamo sbatterci fino a che vogliamo, cercare il successo, la felicità, l’affermazione, tutto quello che vogliamo, ma se alla fine della giornata non abbiamo l’amore non siamo niente.
Proprio un bel nulla fritto.
Questa è la mia conclusione del 2019.
Adesso o meglio dopo – dopo il Dolore – cercherò di ritrovarmi, ma sarà sicuramente in modo diverso dal solito.
Take good care; il prossimo life update, se dopo questo non mi internano, sarà più o meno a metà gennaio e se vi capita guardate “Io sono l’Amore” di Luca Guadagnino; forse vi dice meglio la stessa cosa che ho cercato di dirvi io.
Francesca
Mi chiamo Francesca Zampone e sono una Coach delle relazioni.
Ti aiuto a ritrovare una forte identità personale e un equilibrio stabile.
Come lo faccio? Focalizzando l’attenzione su di te e aiutandoti a ripristinare una giusta scala di priorità. In poche parole, lavoriamo insieme per mettere te stessa al centro della tua vita.