L’importanza di essere tristi

La tristezza è un’emozione intensa che si manifesta facendoci sentire sopraffatte, stanche, senza energie. La tristezza ci rende impotenti, ci fa provare un senso di rassegnazione e, al contempo, di accettazione, soprattutto se a scatenarla è la perdita, di qualcuno o qualcosa.Costituisce la prima fase di un sentimento articolato e complesso: il dolore. Ma è una fase passeggera e, tutto sommato, breve a cui nessuno è immune. La tristezza è affascinante, tormentata, agrodolce e queste sue caratteristiche l’hanno resa la musa di artisti di vario tipo, fin dalla notte dei tempi. È un’emozione talmente universale che, in epoca recente, si ha la tendenza a confonderla con la depressione. La diffusione dei farmaci antidepressivi ha avuto un effetto deleterio sulle persone perché ha trasmesso il messaggio che il dolore non può essere sostenuto. Non solo: il pensiero di aver bisogno di un sostegno esterno ci priva della capacità di riconoscere la sofferenza come parte della vita, come un processo che può restituirci qualcosa di positivo. Anche se non ce ne rendiamo conto, infatti, sperimentare la tristezza è una benedizione. Eppure non tutti sono in grado di affrontarla.

Le reazioni delle persone al manifestarsi della tristezza possono essere molto diverse: c’è chi si rifugia nel silenzio, chi piange, chi fa finta di nulla e cerca di non pensarci.Quando ci troviamo di fronte ad avvenimenti così dolorosi che non sappiamo come affrontare, una delle reazioni più comuni è disperarsi e piangere. Molte persone, però, hanno una reazione opposta. Restano talmente colpite da essere come in stato di shock: si chiudono e non riescono a piangere. Probabilmente questa reazione è legata anche a un’eredità culturale: ci è stato insegnato che piangere è un segno di debolezza e, quando ci sentiamo colpite nel nostro intimo, istintivamente mettiamo uno scudo e vogliamo dimostrare a noi stesse di essere forti. Niente di più sbagliato. Le lacrime fungono da valvola di sfogo, facendo fluire parte delle tensioni e dei conflitti e rinnovando, così, le riserve di forza e resistenza. In molte tradizioni antiche il pianto è considerato un dono del divino, un atto che porta con sé sollievo e che, al contempo, è fisicamente doloroso. Piangere scuote le viscere, fa male al cuore ma ha una funzione ben precisa, è terapeutico. Per questo motivo, sarebbe molto più salutare non opporre resistenza e piangere per tutto il tempo che riteniamo necessario.

Ci sono persone che attraversano una fase di negazione aspettando semplicemente che la tristezza passi. Chi rifiuta la tristezza, in un modo o in un altro, sta sprecando un’occasione perché essa ha un grande potere trasformativo. È l’emozione che, più di tutte, aiuta a metabolizzare la sofferenza, rendendola accettabile. Affinché la funzione della tristezza sia portata a compimento, dobbiamo arrenderci a essa, lasciarla entrare, accoglierla e starci insieme il tempo necessario a cicatrizzare le ferite quel tanto che basti per rimetterci in piedi e andare avanti, come possiamo. La tristezza è un percorso che ci aiuta a raccogliere le forze necessarie ad adattarci a una nuova versione di noi stesse, dopo che abbiamo subito una perdita o una delusione. Se la temiamo, diventiamo più vulnerabili, come se non riuscissimo a sviluppare gli anticorpi che ci servono a misurarci col dolore. Se, invece, restiamo in ascolto e non ci chiudiamo, possiamo farci rivelare anche i doni che essa porta con sé: impariamo a sviluppare compassione ed empatia, in modo da essere d’aiuto anche agli altri, quando se ne presenterà l’occasione. Forse il più grande dono della tristezza è quello di renderci accoglienti, coraggiose, e ricettive verso gli altri. Per questo motivo non dobbiamo mai aver paura di essere tristi.

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